Musica
Orchestrion di Pat Metheny dove l’antico si fa tecnologico | intervista di Marco Castrovinci
Il chitarrista americano è riuscito a creare un ensemble «che utilizza strumenti musicali acustici ed elettrici»
L’uomo e la macchina. E uno
sguardo ammirato da un angolo
della stanza. PatMethenyritorna
sopra i sognida bambinocon
un’immagine su disco che riassume
perfettamente quello che
sente attorno a sé. La sua creatura,
fieramente organica, è cosa
viva e scalciante nella sua staticità
senza tempo, impaziente
nel trattenere suoni, immaginazione,
combinazioni che aspettano
solo di essere messi in fila,
con ordine. Orchestrion , in uscita
il 29 gennaio, è tutto questo,e
anche dipiù. Il «metodoper sviluppare
un ensemble che utilizza
strumenti musicali acustici
ed elettrici, meccanicamente
controllati in svariati modi» diventa
confronto con la propria
fantasia, la sfida alle proprie capacità
compositive. Che diventano
infinite. Solo, al comando.
Come le è venuta in mente
un’idea del genere?
Sono 45anni checi penso,a dire
la verità. Almeno da quando
avevo scoperto dell’esistenza di
un pianoforte automatico nella
casa dei miei nonni a Manitowo,
nel Wisconsin. Da lì sono rimasto
sempre affascinato da questo
genere di cose e non ho mai
smesso di fare ricerche. E la mia
domanda era: perché chi si è cimentato
si è limitato a suonare
cose sempre banali? Poi la svolta
nel 2006, per il compleanno di
Steve Reich.Ho suonato la mia
chitarra sopra 12 versioni preregistrate
suscitando reazioni
entusiaste. Così ho pensato che
fosse arrivato il momento di
mettersi al lavoro.
E su che basi ha lavorato?
Nessuno ha mai fatto prima una
cosa del genere. Così non ho
avuto dalla mia parte nessun
punto di riferimento da cui partire.
Ma questa condizione ha
stimolato diversi approcci alla
materia.
Come giudica il risultato?
Credo che l’avventura più grande
sia stata quella di essermi
spinto il più possibile lontano, in
una competizione tra l’antico e
la tecnologia di oggi, che ti recupera
groove e dinamica. Ma
sono troppo al centro di questo
vortice ora per capire. So solo di
aver lavorato su una piattaforma
nuova,inedita, doveantico e
moderno si comprensano.
Un’esperienza prima di tutto
educativa, che in qualchemodo
riprende il mito del one man
band, ma con sfumature evidentemente
molto diverse. La
differenza con altri sistemi di
registrazione è che tutto quello
che c’è sul disco posso rifarlo dal
vivo. Esattamente così, oppure
aggiungendo parti di improvvisazione.
Posso rappresentare
me stesso e la mia musica attraverso
questi strumenti che mi
offrono infinite possibilità e
combinazioni. Quando premi
tra di loro i tuoi pollici hai, ovviamente,
una connessione
molto diversa da quella che puoi
ottenere premendo il tuo pollice
contro quello di un altro. Questa
esperienza è un ottimo modo
per affrontare il mio mondo artistico.
Quanto è stato difficile scrivere
questo disco?
Ho ordinato la costruzione di
questi strumenti con un’id e a
ben precisa in mente. Ho iniziato
a scrivere musica basandomi
su quelle sensazioni e aspettative.
Poi una volta che gli strumenti
arrivavano ho scoperto
che niente di quello che avevo
iniziato a imbastire andava bene.
E allora ho buttato tutto e mi
sono rimesso al lavoro, cercando
questa volta di trovare il contesto
giusto e tirare fuori il meglio
da ogni strumento. Quasi
avessi conme nonpiù strumenti,
ma dei strumentisti in carne e
ossa. E questa, sono fortunato in
tal senso, è una cosa che credo
mivengabene.